Porto alla vostra attenzione la recente sentenza del Tribunale di Parma n. 1139 del 10.10.2022, Estensore Dott.ssa Belvedere, secondo cui la natura pubblica dell’accordo di mediazione presuppone che la procura conferita all’avvocato che rappresenta la parte nel procedimento deve avere la stessa forma dell’atto pubblico.

Appare evidente che il fondamento della sentenza in esame sia la pronuncia n. 8473/2019 della Corte di Cassazione che ha tracciato i criteri formali in presenza dei quali sia ritenuta soddisfatta la condizione di procedibilità del procedimento di mediazione. La storica sentenza della Suprema Corte ha chiarito che è validamente incardinato il procedimento di mediazione solo nel caso in cui la parte onerata abbia effettivamente introdotto la procedura e le parti, assistite dai difensori, siano comparse personalmente al primo incontro davanti al mediatore. È ammessa la possibilità di farsi sostituire da un rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore, purché dotato di apposita procura sostanziale. Per questo motivo, se la parte assente sceglie di farsi sostituire dal proprio avvocato, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore stesso, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dall’avvocato.

Dunque, fin qui tutti concordiamo che la procura in mediazione debba essere un atto specifico ed esplicitamente orientato alla rappresentanza della parte – assente per un motivo giustificato – nel procedimento di mediazione. Questa specificazione supera una volta per tutte le eccezioni spesso mosse da quegli avvocati che in passato pretendevano di utilizzare la procura alle liti da loro stessi autenticata anche per rappresentare e sostituire il proprio cliente in mediazione. Tuttavia, vi è una parte della motivazione della sentenza del Tribunale di Parma che appare discutibile poiché introduce nel procedimento di mediazione un formalismo forse eccessivo e comunque foriero di equivoci ed eccezioni che non giovano alla stabilizzazione ed alla diffusione dell’istituto. Sostiene infatti l’estensore della sentenza che, quanto alla forma che deve rivestire la procura sostanziale, la richiamata pronuncia della Cassazione, nella parte in cui precisa che la stessa non possa essere autenticata dal difensore, sottintende la necessità che la procura venga conferita nelle forme dell’atto pubblico, come peraltro discende dalle ordinarie norme in materia di rappresentanza avuto particolare riguardo alla previsione di cui all’art.1392 cc. secondo cui la procura non ha effetto se non è conferita con le stesse forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere. Il presupposto della pronuncia richiamata è quello della natura pubblica dell’accordo di mediazione che costituisce titolo esecutivo validamente trascrivibile e da tale presupposto ne discende che la procura finalizzata alla trattazione di un procedimento che si concluda con un atto che ha natura pubblica deve necessariamente rivestire, a sua volta, la forma solenne dell’atto pubblico. L’effetto di tale osservazione è che, in mancanza di idonea procura notarile conferita dalla parte assente al proprio procuratore, non possa ritenersi sussistente la rappresentanza sostanziale richiesta dalla legge e quindi che non possa considerarsi validamente introdotto ed espletato il procedimento di mediazione.

Ebbene, il mio parere è che – sebbene l’iter logico giuridico utilizzato dal magistrato estensore della sentenza sia giuridicamente inappuntabile – la conclusione a cui giunge la sentenza non è in linea con lo spirito della mediazione che impone si una necessaria aderenza alle norme del diritto civile ma al contempo impone una certa flessibilità ed una necessaria adattabilità alla fattispecie concreta.

L’esperienza nelle aule di mediazione mi ha insegnato che facilitare l’incontro, lo scambio, il contatto è sempre una buona idea e che il ricorso alle norme (quando è sordo alle esigenze delle persone) non sempre porta buoni risultati. Ecco perché da mediatore preferisco sempre incoraggiare la presenza personale delle parti e, se è presente un loro delegato, mi accerto che sia padrone dei temi sui quali ci confrontiamo o che sia almeno aggiornato sui fatti. Se mi trovo in mediazione con un avvocato munito di procura sostanziale non trovo nessun vantaggio nell’avviare una discussione per convincerlo che la sua procura non è adeguata a rappresentare il suo cliente in mediazione; piuttosto cerco di concordare con lui una modalità per facilitare la presenza anche del suo assistito al prossimo incontro. Spesso l’assenza di una parte agli incontri di mediazione è strumentale ed affonda le sue radici nella difficoltà dell’assente a confrontarsi con le altre parti e ad instaurare un dialogo. Vecchi rancori, pregiudizi, idee preconcette sono difficili da superare ed è molto più semplice delegare qualcun altro. Proprio l’antitesi della logica fondante della mediazione. Il discorso è diverso (ma solo parzialmente) nel caso di grandi società o enti; in questo caso la procura al legale assume una veste di necessità gestionale. Tuttavia, anche in questi casi cerco di avere la presenza in un incontro appositamente dedicato del legale rappresentante, almeno per la decisione finale o per i passaggi più importanti.

In un mondo ideale vorrei sempre tutti presenti intorno al tavolo di mediazione e nello stesso mondo ideale vorrei magistrati che fossero competenti di mediazione quanto lo sono di diritto civile.

A cura di Salvatore Azzaro, avvocato e mediatore civile e commerciale