La terzietà del mediatore tra mito e realtà
Il tema della terzietà e dell’imparzialità di un professionista, a qualsiasi titolo chiamato a giudicare o a dirimere una controversia, è sempre stata una questione seria, molto seria. E lo è tuttora naturalmente, soprattutto in questi tempi difficili nei quali il sospetto di collusioni e di corruzione si è fatto diffuso, anzi dilagante.
Per questa ragione il principio della terzietà e dell’imparzialità è stato al centro dell’attenzione delle Supreme Magistrature dello Stato con particolare riguardo alla funzione giurisdizionale comunque esercitata. La Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 15-03-2007, n. 6003) sottolinea che “la recente giurisprudenza costituzionale si è mossa per garantire ad ogni cittadino la tutela dei propri diritti davanti ad un giudice terzo ed imparziale nell’ambito del giusto processo” (Corte Costituzionale 3 luglio 2002, n. 305; 21 luglio 2002, n. 335) e che tale garanzia va estesa ad ogni soggetto legittimamente giudicante” (Magistratura ordinaria ed ogni altro organo avente natura giurisdizionale).
Nel momento in cui l’istituto della mediazione entrò nel sistema giuridico italiano – anche se in sordina e con le stimmate della temporaneità – fu chiaro a tutti che l’imparzialità del mediatore fosse il presupposto fondativo ed essenziale della mediazione. Anche se, è ormai noto a tutti, il mediatore non giudichi alcunché.
Il principio dell’imparzialità del mediatore civile attiene alla struttura immutabile ed originaria dell’istituto molto più che un mero requisito di qualità. In ottemperanza al dettato normativo ogni organismo di mediazione si è munito dunque di un codice etico in adesione al quale ogni mediatore che svolga la sua funzione nell’organismo si impegna a garantire in ogni procedimento del quale è incaricato i principi di terzietà, imparzialità, indipendenza.
Ma, al di là delle enunciazioni di principio, il mediatore riesce sempre ad essere equidistante dalle parti e comunque a garantire imparzialità d’azione e di pensiero?
Può sembrare una domanda banale da liquidare con una risposta categorica ma chiunque abbia fatto un certo numero di mediazioni nutre dentro di sé un dubbio inconfessabile e sente che, almeno una volta, il proprio pensiero non è stato cristallino, la propria condotta da mediatore non è stata impeccabile. Tutti, almeno una volta, abbiamo ceduto alla naturale antipatia verso una delle parti o abbiamo in cuor nostro parteggiato per quella che appariva più debole, così violando la regola sacra dell’imparzialità. E’ accaduto anche a me!
… Il sig. B era proprio insopportabile! Nelle fasi iniziali della mediazione B era gentilissimo, quasi ossequioso con gli avvocati presenti ed ancor di più con il mediatore (del quale tentava probabilmente di accaparrarsi la benevolenza) mentre nello svolgimento delle sessioni aveva un atteggiamento palese di scherno verso la controparte ed il suo avvocato e di svalutazione verso la figura del mediatore e dell’intero procedimento. Per puro scherno – e con fare spocchioso e supponente – proponeva soluzioni impraticabili ed impegnava le energie di tutti su prospettive che lui stesso demoliva la volta successiva. Lo detestavo, ma non potevo darlo a vedere, ovviamente…
Come si gestisce un caso del genere? Cosa deve fare il mediatore per contrastare la umana e naturale propensione per una parte oppure la altrettanto umana antipatia verso un’altra?
E dunque, in definitiva, esiste veramente la tanto declamata imparzialità e la equidistanza del mediatore?
Io uso dire, nel discorso iniziale con il quale presento alle parti ed ai colleghi le regole della mediazione e cerco su di esse la loro piena ed esplicita condivisione, che uno dei presupposti essenziali della mediazione è l’imparzialità del mediatore. “Io” – proseguo accentuando con una certa enfasi questo passaggio – “non ho rapporti personali, di parentela o di amicizia con nessuno di voi e non potrò avere rapporti professionali con voi, come clienti, nei prossimi due anni, poiché cosi prevede il codice deontologico di questo organismo di mediazione. Ciò garantisce voi per il fatto di avere un professionista terzo ed imparziale che vi assisterà nella gestione della controversia e garantisce me poiché potrò svolgere la mia funzione con assoluta serenità, sapendo di non essere legato da alcun vincolo o da alcun obbligo verso nessuno di voi”.
Lo dico apertamente e senza infingimenti. La questione dell’imparzialità del mediatore rischia di essere una bufala o, quantomeno, un’enorme ipocrisia. E, si badi bene, lo dico sapendo bene quanto sia importante la questione dell’imparzialità del mediatore in un procedimento basato sulla conoscenza e sulla condivisione di informazioni spesso molto personali dei soggetti coinvolti, sulla fiducia che il mediatore deve generare nelle parti rispetto al proprio ruolo ed alle proprie capacità di conduzione del procedimento, sulla autorevolezza che il mediatore deve comunicare alle parti quando presenta se stesso e l’organismo della mediazione; in altre parole quanto sia importante l’affidamento che il mediatore implicitamente chiede alle parti.
Ma allora la domanda che dovrebbe guidare la riflessione di tutti noi mediatori professionisti dovrebbe essere la seguente: come gestisce un mediatore professionista la questione della sua imparzialità?
Naturalmente non ho la pretesa di indicare soluzioni preconfezionate né ricette buone per ogni occasione. Quello che posso dire è che il mio approccio al problema è la tolleranza… la tolleranza verso me stesso intendo, verso le mie debolezze e verso la vulnerabilità delle mie emozioni.
Perché, diciamolo chiaramente, quello che si chiede ad un mediatore quando gli si impone l’imparzialità del suo ruolo e del suo comportamento è una forzatura della sua naturale ed umana natura. A meno che non vogliate credere che le emozioni che ognuno di noi prova siano una debolezza da evitare, ebbene allora dobbiamo pensare che queste emozioni siano una parte di noi che non possiamo soffocare ma con la quali dobbiamo convivere anche quando facciamo il mediatore dei conflitti altrui.
Credo che la qualità centrale per un mediatore è quella di essere capace di sospendere le reazioni interne che abbiamo per le persone, utilizzarle per comprendere la loro natura e attraverso esse comprendere noi stessi. La sfida è dunque trovarci più vicini alle persone che non ci piacciono. Normalmente, quando abbiamo una brutta sensazione, quando qualcuno non ci piace, quando perdiamo la pazienza, l’altra parte lo sente. Non possiamo pretendere che questa cosa non ci sia. Ma possiamo lavorare con questa sensazione per comprendere cosa ha generato la reazione negativa.
Ecco perché parlo di tolleranza verso noi stessi. Dobbiamo tollerare le nostre emozioni e governarle in modo che non nuocciano al procedimento. Dobbiamo tollerare di sentirsi inadeguati in certe occasioni e lavorare per superare questa idea del limite. A volte saremo ottimi mediatori, a volte saremo imperfetti e cederemo alle emozioni, a volte potremmo essere parziali o partigiani.
Mai però dovremmo lasciare che queste emozioni – che pure agiscono a volte potentemente e incontrollabilmente nel nostro inconscio – prendano il sopravvento al punto da influenzare negativamente il procedimento oppure in modo da intaccare la percezione che le parti hanno della imparzialità del loro mediatore.
Gary Freedman nel suo libro “Inside Out: How to help others in conflict” suggerisce di usare una tecnica di auto osservazione del mediatore che egli chiama “salire al balcone”; in pratica si tratta di una sorta di esercizio di separazione della mente dal corpo durante il procedimento che consente al mediatore di osservarsi e di ascoltarsi come se, appunto, stesse al balcone, in alto e potesse dunque osservarsi in azione senza essere coinvolto. Ascoltarsi, vedersi, percepire il proprio agito come uno spettatore ed immaginare l’effetto di questo agito sul procedimento e sulle parti, questo suggerisce Gary Friedman
Ma questo presuppone una buona percezione di sé, una buona capacità di astrarsi anche temporaneamente ed un buon addestramento all’auto analisi.
Buona fortuna amici…
A cura di Salvatore Azzaro
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